"Crack" è per la label Simon Cracker sinonimo di rottura, un punto in cui si frantumano le certezze e nasce qualcosa di nuovo. Ed è da questo richiamo sonoro che immediatamente la loro moda, per l’accezione che Filippo Leone Maria Biraghi e Simone Botte stanno coniando per la loro moda dai vezzi punk, essa fa pensare al visionario status di Ralph Washington Sockman: ‘Non c’è niente di più forte della gentilezza e niente di più gentile della vera forza’.. Il nonno di Simone Botte, anch’egli artista, gli suggerì di non gettare mai nulla poichè gli potrebbe essere tornato utile in qualche altra forma. E’ da questo legame col passato, da questo filo rosso del ricordo, Bello o brutto che sia, che prende vita la moda upcycled di Simon Cracker. Non scambiate però la gentilezza di questi creativi come un atteggiamento pacato e passivo: “crack” è un ‘clash’ per opporsi con modi sereni, ma mai in silenzio, per protestare contro ogni cosa che non sopportano della contemporaneità.
Simon Cracker é la vostra label, genuinamente dal passato underground, che dalla recente calendarizazzione nella MFW é finita sotto i riflettori di stampa e celeb internazionali. Dagli esordi ad adesso che sensazioni provate?
Siamo entrambi dei lavoratori, non siamo molto propensi per carattere a crogiolarci. Simon Cracker rimane una realtà indipendente gestita con sudore e amore. Il passo del 'riconoscimento' con la nostra presenza nella MFW ha rappresentato sicuramente il raggiungimento di un obbiettivo, ma siamo consci che il lavoro da fare è ancora molto, cerchiamo di affrontarlo con un sorriso e con tutte le persone che credono in noi, la nostra Cracker Crew
Myss Keta, Meg, Anna Lou sono solo alcune delle vostre muse, oltre al recente omaggio alla sacerdotessa del punk: dame Vivienne Westwood. Donne decisamente forti vi ispirano. Nei vostri casting di modelle e modelli quanto conta l’inclusivitá e chi è solitamente la cliente Simon Cracker?
Simon Cracker è talmente inclusivo che non usiamo mai questo aggettivo per descriverci. Il nostro casting è fatto di amici, clienti, persone che collaborano con noi su altri progetti, senza distinzioni di genere, tipologia fisica o età. Vogliamo sempre che le persone che sfilano per noi si sentano a proprio agio e facciano loro l'outfit che noi gli assegnamo portando in passerella i propri gioielli, occhiali, insomma le cose che li identificano. Lo stesso principio vale per il nostro 'target': piuttosto che un'età, un genere, un potere economico precisi, noi vorremmo persone che 'la pensano come noi' a prescindere da ogni specificità. Noi facciamo vestiti, chi se li vuole mettere è il benvenuto!
Tornando al punk, avete coniato uno stridente neologismo: punkindness. Spieghereste meglio cosa significa?
L'obbiettivo del punk 'originale' degli anni '70 era quello di sconvolgere lo status quo perbenista con atteggiamenti, musica e vestiti estremamente oltraggiosi, che infastidissero i benpensanti in una società che era in declino e schiacciata da regole e comportamenti vetusti. La società vive un momento di diverso declino anche oggi, dove vince il pensiero debole, chi urla più forte, chi la spara più grossa. Abbiamo pensato che paradossalmente l'unico modo per essere punk (e quindi non allineati e 'contro') oggi passa attraverso un approccio gentile e consapevole alla vita e ai rapporti umani. In inglese suona molto bene: oggi è più punk dire 'thank you' che 'fuck you'.
Simon Cracker è un precursore dell’upcycling, fatto che gli è stato giustamente riconosciuto. Come l’avete tradotto nella SS23?
L'upcycling fa parte da sempre del linguaggio di Simon Cracker, sia come scelta etica che estetica. Abbiamo descritto la collezione 'Reality Bites' come quello che c'è tra i Sex Pistols e Holly Hobbie. Abbiamo usato un vecchio paracadute per fare gonne e la nostra versione degli abiti 'da sera', abbiamo scelto camicie upcycled a righe o quadretti che abbiamo decorato con scritte fatte a mano come se fossero dei quaderni di bambini, I pezzi di maglieria sono stati realizzati con i finali dei coni di filato, ottenendo un effetto 'noise' visivo. Un vecchio corredo di lino pesante è stato trasformato in due abiti grembiule, la stampa mela che fa da filo conduttore e stata realizzata usando una mela vera intinta in una vernice profumata. Il tutto tenuto insieme da moltissime spille da balia e una vecchia cucitrice industriale.
Il nome delLa collezione si traduce con ‘la realtà morde’. Cosa digerite meglio della contemporaneità e cosa proprio non vi va giù, se vorreste essere brutalmente onesti.
Il contemporaneo è estremamente contraddittorio: viviamo in un tempo in cui vale tutto e quindi, paradossalmente vale niente. Quello che ci piace di più del presente è l'apertura delle nuove generazioni verso le questioni di genere: in una società così retrograda è bello vedere come molte questioni legate alla sessualità vengano gestite in maniera meno drammatica di un tempo, anche se la strada è ancora lunga. Quello che non ci piace proprio è l'ignoranza dilagante unita all'arroganza e al pressappochismo: in sostanza l'uso sbagliato dei social media che la maggior parte delle persone fa. Tutti abbiamo la possibilità di dire la nostra opinione, questa è una libertà inviolabile, ma non possiamo essere esperti proprio di tutto… Ci manca l'approfondimento, la curiosità, la cognizione di causa.
Cosa state ascoltando?
Meg, le Spice Girls, musica Acid House del 1988, Emanuelle, i Chemical Brothers
Il viaggio più bello delle vostre vite?
Simone: il viaggio a Salem, la città delle streghe
Filippo: il primo viaggio a Londra nel 1987